Diritti dell’infanzia e dei bambini a 25 anni dalla Convenzione Onu
A un quarto di secolo dalla ratifica sono stati compiuti importanti passi avanti per la salvaguardia dei più piccoli.
Gran parte dei Paesi del mondo, venticinque anni orsono, si sono impegnati a difendere e promuovere il diritto dei bambini a vivere, crescere, imparare ed essere protetti, senza alcuna discriminazione. A sancire questo impegno, 194 nazioni ad oggi (a eccezione di Somalia, Stati Uniti e Sud Sudan), hanno sottoscritto la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un trattato internazionale composto da 54 articoli e 3 protocolli opzionali, adottato dalle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989.
Nel documento sono anche sanciti il diritto di nome e nazionalità, il diritto ad essere ascoltati e una serie di altri diritti che appaiono a noi scontati, ma che, di fatto, era necessario definire per spingere i governi verso una legislazione che li garantisse. Lo scopo della Convenzione è infatti proprio quello di stimolare tutte le nazioni del mondo ad adottare politiche a difesa dei bambini, con verifica delle ottemperanze a cadenza quinquennale.
Di fatto, ad un quarto di secolo della ratifica sono stati compiuti importanti passi avanti: prima di tutto, oggi, i bambini hanno il doppio delle probabilità di raggiungere i 5 anni di vita, ed è cresciuta, dal 53% del 1990 all’81% odierno, la percentuale di bambini che afferisce alla scuola nei Paesi in via di sviluppo. Allo stesso modo è crollato lo sfruttamento del lavoro minorile che, se nel 1990 coinvolgeva 1 bambino su 4 sotto i 15 anni, oggi è subìto da 1 bambino su 8.
Linee guida e protocolli della Convenzione sono anche in continua evoluzione e aggiornamento. Nel 2000 è stato posto a 18 anni il limite minimo per partecipare a conflitti armati nel tentativo di contrastare la piaga dei bambini soldato; nello stesso anno è stato definito un protocollo specifico per la lotta alla pedopornografia, al commercio e alla prostituzione infantile. Dal 2011 è anche possibile, per singole entità, denunciare alle Nazioni Unite mancate osservanze, a garanzia che eventuali violazioni non vengano coperte dagli Stati o da comitati corrotti.
I suddetti incontestabili miglioramenti lasciano però ancora fuori milioni di bambini nel mondo, particolarmente quelli di sesso femminile. Le bambine hanno infatti minore accesso allo studio, quando invece il grado di scolarizzazione della madre è proporzionale alla sopravvivenza dei propri figli. Ancora 38.000 ragazzine sono obbligate, ogni giorno, a sposarsi prima dei 18 anni e a tutt’oggi molte sono sottoposte a mutilazione dei genitali (sebbene il numero si sia ridotto di 1/3). Di fatto la cultura, l’informazione e l’emancipazione femminile rappresenterebbero lo strumento più efficace per il miglioramento della qualità della vita dei bambini.
Sicuramente c’è ancora molto da fare per migliorare la legislazioni delle singole nazioni, l’applicazione della normativa e i controlli a garanzia. È evidente che alcuni passi dipendano non solo dalla volontà politica, ma anche dalle condizioni socio- economiche e culturali.
La fortuna di nascere in un Paese come il nostro in cui la mortalità neonatale e infantile è molto bassa, e in cui l’accesso allo studio, alle cure mediche ha sicuramente maggiori garanzie, non deve distogliere da uno dei diritti sanciti nella Convenzione: quello che i bambini siano sostenuti nel raggiungimento dei loro potenziali psichici e fisici. In quest’ottica, e senza forzatura alcuna, si inserisce anche il diritto a una alimentazione sana e proporzionata alle reali necessità del bambino, che i genitori (e la scuola) sono tenuti a garantire.