Skip to content

Psicologia

La selettività alimentare

La selettività alimentare è sempre più diffusa e ha conseguenze serie: la ri-familiarizzazione con gli alimenti deve essere graduale e non troppo rigida

Pubblicato il 20.03.2022 e aggiornato il 31.03.2022 Scrivi alla redazione

Quanto spesso ci sentiamo dire “il mio bambino non mangia questo oppure quell’altro alimento”? E che disperazione per questi genitori ogni giorno preparare con amore il pasto e vedersi allontanare il piatto con manina decisa trovandosi davanti quasi un muro che impedisce non solo l’assaggio ma anche la sola vista o odorato di quel determinato piatto o alimento. Certo è che ognuno di noi ha un alimento o un abbinamento alimentare non gradito, ma quando le sole cose gradite sono pasta in bianco e fettina panata o hamburger diventa decisamente difficile gestire la faccenda.

Quante volte davanti a tali atteggiamenti il consiglio da parte degli estranei è stato quello di proporre e riproporre la stessa minestra finché alla fine “vedrai che mangerà, ai miei tempi si faceva così!”. Vero, forse qualche tempo fa questa tecnica avrebbe anche funzionato, ma oggi il problema della selettività alimentare è sempre più dilagante. Questo non solo comporta dei deficit nutrizionali importanti nei bambini (che sono notoriamente persone in crescita, con esigenze nutrizionali proporzionalmente maggiori rispetto all’adulto), ma si collega spesso sia a problemi di eccesso ponderale che, al contrario, di scarsa crescita: entrambi aspetti preoccupanti per il genitore lungimirante.

Più volte abbiamo puntato l’attenzione sulle neofobie, periodi fisiologici di crescita in cui alcuni tipi di alimenti vengono rifiutati. Il consiglio in questo caso è di non stancarsi di riproporre gli alimenti senza proporre alternative proprio perché essendo dei periodi fisiologici vengono fisiologicamente superati soprattutto appunto se le proposte continuano ad essere varie e la neofobia stessa non viene assecondata.

Il discorso della selettività alimentare è invece un po’ più complesso: di base resta sempre il principio di non assecondare la selettività, ma forse in questi casi il processo di ri-familiarizzazione con gli alimenti deve essere più graduale e di sicuro non troppo rigido. In primo luogo, dal punto di visto medico, sarebbe bene individuare eventuali ritardi o regressioni (del linguaggio, dell’autonomia, etc..) che a volte possono accompagnarsi a quadri di selettività alimentare più complessi, su cui appunto è bene agire di concerto con vari specialisti (pediatra, nutrizionista, neuropsichiatra infantile, logopedista, ecc.).

Nei casi invece di selettività “pura” è appunto importante tornare a familiarizzare con il cibo, questo significa innanzitutto toccare gli alimenti, manipolare il cibo, sporcarsi con esso, tornare cioè a quelle modalità di conoscenza arcaica quali sono quelle manuali. Di certo su un bambino selettivo diventa difficile agire contemporaneamente su tutti i pasti, per cui il consiglio iniziale è quello di iniziare con una condivisione del progetto di un pasto, ma non modificabile: cioè scegliere insieme che quella sera la cena sarà con le zucchine, pane e uova, insieme si decide come cuocere le zucchine e le uova, ma una volta stabilito il tutto e una volta lavorato insieme sul pasto stesso non ci saranno alternative per cui o quello o nulla.

Il bambino va, infatti, coinvolto nella preparazione degli alimenti per lui e per il resto della famiglia; la famiglia infatti ha in questo percorso un compito importante che è quello di condivisione e convivialità del pasto. Certo è che se mamma mangia solo insalata e papà solo pasta resta difficile per il bambino capire che l’alimentazione corretta si compone di un pasto adeguato che comprende carboidrati, proteine, verdure, frutta. Stesso discorso vale per la frequenza e la qualità del pasto. Ricordiamo sempre che noi siamo l’esempio migliore (o peggiore…) per i nostri bambini.

Con la supervisione di:

Dott.ssa Margherita Caroli Pediatra

Prof. Andrea Vania Pediatra