Bambini e sport: famiglia, scuola e politica devono promuoverlo
L’attività fisica è sicuramente centrale e imprescindibile per il sano sviluppo del bambino, ma purtroppo sono ancora pochi gli italiani che la praticano.
Negli ultimi anni le istituzioni hanno dato maggiore attenzione all’incentivazione della pratica sportiva, anche in risposta alle indicazioni dettate dell’Organizzazione mondiale della sanità in tema di sport come veicolo di benessere a molteplici livelli.
La prima importante iniziativa è stata quella del Libro bianco sullo sport presentato l’11 luglio del 2007 dalla Commissione Europea, che fornisce orientamenti strategici sulla pratica sportiva nell’Unione Europea, definendo il ruolo dello sport ed evidenziandone esigenze e criticità con particolare attenzione alla questione socio-economica.
Successivamente, nel dicembre del 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Unione Europea si è attribuita una competenza specifica nel settore dello sport. Nell’articolo 165 del Trattato sul funzionamento dell’UE (Tfue), infatti, vengono definite dettagliatamente le politiche volte all’implementazione dello sport per la sua funzione sociale, educativa e salutistica. Tali orientamenti comunitari hanno lo scopo di spianare la strada a iniziative nei singoli stati membri, sebbene vi sia, ovviamente, una “differita” tra azione politica e realtà territoriale.
Le indagini statistiche degli ultimi anni hanno aiutato a comprendere il complesso quadro della pratica sportiva nel nostro Paese, evidenziando gli aspetti sociali, culturali e storici ad esso sottesi. È alla luce di questi peculiari aspetti che dovrebbero derivare azioni politiche specifiche.
Proviamo, dunque a descrivere il mondo dello sport in Italia a partire dalle ultime indagini Istat. Iniziamo con il dire che solo 1 bambino su 5 tra i 3 e i 5 anni pratica regolarmente qualche tipo di attività fisica sportiva o informale (come gioco all’aperto, passeggiate, bicicletta, eccetera). In età successive va decisamente meglio: infatti, tra i 6 e i 17 anni pratica sport 1 ragazzino su 2. In generale, le femmine tendono ad essere meno attive, sia in termini di sport che di movimento informale: questo ha probabilmente ragioni culturali e di tendenza proprie del genere, ma anche di offerta da parte della scuola e del territorio su cui bisognerebbe lavorare.
Nell’ambito delle determinanti culturali in rapporto con i comportamenti inerenti il movimento, la famiglia è evidentemente centrale. Pensiamo, ad esempio, alla rilevanza della tradizione sportiva familiare: l’80% dei bambini che hanno entrambi i genitori che fanno sport lo praticano a loro volta, mentre la percentuale scende al 68% se solo uno dei genitori è attivo, per arrivare al 40% nel caso in cui sia papà che mamma sono sedentari. Ancora una volta l’esempio genitoriale, come accade per i comportamenti alimentari, è fondamentale. In verità, il livello di movimento dei genitori è correlato con il livello lavorativo e con il titolo di studio, ovvero all’aumentare di questi 2 parametri aumenta la percentuale di pratica sportiva. Se questo da un lato può avere a che fare con i costi dello sport, dall’altro – essendovi anche molte attività a costo zero o basso (come corsa, ciclismo o la semplice passeggiata regolare) – è evidente che la componente legata alla formazione e all’informazione rivesta un ruolo prevalente. In quest’ottica molto potrebbe la scuola, già a partire da quella dell’infanzia con percorsi di propedeutica al movimento e avvicinamento allo sport attraverso il gioco.
Un altro fenomeno molto interessante è quello del ricambio generazionale “al contrario”, secondo cui, se mettiamo a confronto fasce di età estreme – ovvero giovani tra gli 11 e i 17 anni e anziani tra i 60 e i 74 anni – osserviamo che dal 1997 e il 2013 la percentuale di quelli che praticano sport nella prima fascia è aumentata del 10%, mentre nella seconda è aumentata del 120%. Ovvero nella classe di età superiore vi è stato un notevole incremento dell’attività fisica. Le radici di questo miglioramento non si possono evidentemente ricondurre a questioni economiche o di contesto sociale (non essendosi, purtroppo, osservato un rilevante progresso negli ultimi 15 anni), ma vanno ricercate nella comunicazione che è stata in grado di proporre, finalmente in modo efficace, l’attività fisica come fonte di benessere e salute. E, forse, in questo qualche merito va al mondo medico.
L’attività fisica è sicuramente centrale e imprescindibile per il sano accrescimento del bambino, sia essa intesa come movimento informale che come sport strutturato. Purtroppo dalle statistiche emerge chiaramente che la metà dei bambini italiani non soddisfano questo criterio. È pertanto necessario un cambiamento che venga spinto da tutti – dal mondo politico, dai media, della scuola – e che trovi poi applicazione in ogni singolo nucleo familiare.