Malattie infantili

Inappetenza transitoria nei bambini (febbre, dentizione, primavera)

Il bambino disappetente perde transitoriamente il piacere di mangiare e rifiuta il cibo che gli viene offerto. La riduzione dell’alimentazione per alcuni giorni non deve preoccupare.

Pubblicato il 15.07.2022 e aggiornato il 17.04.2023 Scrivi alla redazione

    Inappetenza bambini

    Appetito deriva dal termine “appetire”, che significa “sentire desiderio di qualcosa”, ed è strettamente connesso al termine “appetenza”, ovvero buona disposizione a mangiare che dunque, a differenza della fame, è caratterizzata dal piacere di mangiare. In caso di inappetenza il bambino, infatti, perde transitoriamente questo piacere e rifiuta il cibo che gli viene offerto, generando ansie e dubbi nei genitori: “il mio bambino non mi mangia”, “non vuole mangiare altro”, “mia figlia non mangia più”…

    Inappetenza durante la malattia

    La situazione tipica in cui ciò si verifica è la malattia, in tutte le sue fasi, cioè l’incubazione, la fase acuta e la convalescenza, durante le quali il bambino mostra di solito un evidente disinteresse per il cibo.

    L’inappetenza in corso di malattia è una condizione fisiologica che tutti sperimentano, anche gli adulti, e che è legata ad un meccanismo di difesa per cui l’organismo mette a riposo l’apparato digerente a favore della risposta immunitaria. Inoltre, la resistenza al digiuno è diversa fra la specie, per cui se gli esseri umani (compresi i bambini) possono resistere qualche giorno senza mangiare, ciò non è vero per virus e batteri che hanno un bisogno continuo di nutrienti. Il digiuno della malattia riduce la presenza di nutrienti nel sangue e pertanto “affama” gli agenti infettivi, ma non il bambino.

    Il rifiuto del bambino di mangiare suscita però sempre, nel genitore e nei parenti tutti, una intensa preoccupazione che non tiene conto della situazione del bambino inappetente per il quale si è disposti anche ad accettare la malattia, ma non il fatto che non mangi. Frequenti sono le domande che i pediatri ricevono su questo argomento e che affollano il nostro sito.

    Mi devo preoccupare se il bambino non mangia?

    La riduzione dell’alimentazione del bambino per alcuni giorni non deve preoccupare la famiglia. L’organismo riesce a gestire le sue risorse a favore della risoluzione della malattia naturalmente e gradualmente, riacquistando le performance precedenti.

    Forzare il bambino ad alimentarsi comporta un duplice rischio:

    1. sottoporre il bambino a uno stress alimentare che il suo organismo non richiede;
    2. correre il rischio di allontanarlo ancora di più dal cibo.

    Infatti, per ciò che riguarda quest’ultimo punto, non ci stancheremo mai di ripeterlo, i bambini percepiscono le ansie degli adulti. Queste piccole, adorabili volpi capiscono al volo le preoccupazioni dei genitori e a volte possono volontariamente, anche se non consapevolmente, allungare questo disinteresse per il cibo per conservare un’arma ricattatoria nei loro confronti. Non a caso questo lungo periodo di inappetenza è tipico delle società agiate e invece non è affatto presente nelle aree povere dove mangiare è un lusso.

    Durante la malattia è sufficiente che il bambino beva il latte?

    Questo “panico” da mancanza di cibo è ancora più ingiustificato in quei bambini che, in corso di malattia, pur non introducendo alimenti solidi, bevono latte e/o yogurt. Siamo abituati a pensare al latte come a una bevanda, mentre, in realtà, è un vero e proprio alimento completo, ricco di acqua, proteine, grassi e carboidrati che, per alcuni giorni, può tranquillamente sostituire i cibi solidi.

    Se ha la febbre fagli bere tanta acqua e spremute

    Ciò che è invece veramente importante, soprattutto quando la malattia si accompagna ad uno stato febbrile o vomito e diarrea, e tanto più quanto più piccolo è il bambino, è l’introduzione di liquidi e zuccheri: acqua, latte, spremute, frullati o soluzioni reidratanti non devono mancare. Infatti, i bambini sono più soggetti ad una rapida disidratazione rispetto agli adulti e ciò va prevenuto mantenendo una costante, anche se minima, introduzione di liquidi (idratazione “al cucchiaino o goccia a goccia” come mi piace chiamarla). Ciò che si chiede ai genitori, anche in questo caso, è la fantasia di inventarsi nuovi modi per invogliare i più piccoli a bere: cucchiaino, bottiglietta, cannuccia e poi… racconti, canzoncine, giochi e coccole per levare ai giorni della malattia transitoria gli aspetti ansiogeni, e rivestirli di quanta più serenità sia possibile.

    Lasciamo che i bambini “sperimentino” una inappetenza transitoria, non li angosciamo con problemi inesistenti, che dipendono soprattutto dalla incapacità che abbiamo noi adulti di controllare le nostre paure. Ciò gioverà a noi, perché ci permetterà di essere più obbiettivi nel riconoscere un caso grave, e ai bambini che riprenderanno la loro esperienza alimentare senza influenze e cambiamenti negativi.

    I ricostituenti servono davvero?

    Una parola meritano i così detti ricostituenti per bambini, tanto in voga soprattutto dopo una malattia. E’ evidente che si tratta di palliativi senza nessuna evidenza scientifica, che hanno un grande vantaggio: dare ai genitori la sensazione di “fare qualcosa” mentre passa qualche giorno e la situazione torna spontaneamente alla normalità, comprese le abitudini alimentari e la riacquistata appetenza per i cibi.

    E’ primavera e mio figlio non ne vuole sapere di mangiare, che fare?

    Si, è possibile che tutte le volte che vi è un cambio di stagione si possa verificare un cambiamento delle abitudini alimentari del bambino. È una situazione frequente che non deve spaventare il genitore. I bambini, contrariamente a quello che si crede, sono in grado di autodeterminarsi nelle quantità di cibo da assumere. Infatti una ricerca americana ha dimostrato che un bimbo di 2 anni e mezzo di fronte a una tavola piena di tante cose è perfettamente in grado di selezionare i cibi che gli fanno bene e la quantità adeguata a lui. Un genitore deve decidere cosa dar da mangiare ed i limiti superiore delle quantità, il bambino deve decidere se e quanto mangiare. In altre parole, il bimbo impara a distinguere la sua percezione della fame se gli è permesso di sperimentare, senza che il ritmo sia invece imposto dall’adulto.

    Prima mangiava di tutto ma ora sembra disappetente e rifiuta il cibo

    Il rifiuto di alcuni cibi a 2 anni è molto frequente e spesso dura per diversi mesi insieme ad un atteggiamento più ribelle e meno remissivo, questa età è definita per questo i “terribili due”. Infatti questo cambiamento non riguarda solo il cibo ma coinvolge abitudini e consuetudini. Il piccolo inizia a percepire sé stesso e costruisce la sua identità affermando la sua presenza nel mondo anche attraverso l’opposizione. In pratica è il graduale e progressivo distacco dalla madre che si manifesta anche attraverso il rifiuto del cibo. L’ostinazione, il rifiuto dunque, non sono un capriccio ma un segnale del suo percorso di crescita. L’alimentazione non è una cosa a sé stante, è un elemento importante nella relazione tra piccolo e adulto e come tale merita una attenzione particolare. Un atteggiamento paziente, non coercitivo, da parte del genitore sarà di grande aiuto a questo processo di crescita del bambino, sicuro che nel giro di alcuni mesi si risolverà spontaneamente.

    Scarso appetito durante la dentizione

    Durante questa fase, i bambini sono irritabili, perdono appetito e i ritmi quotidiani a cui erano abituati. Può comparire anche una febbricola e alcune scariche di diarrea. La cosa migliore è, ovviamente, far visitare il bambino dal pediatra di fiducia. Nel frattempo, non aumentare assolutamente l’omogeneizzato nella pappa, per non aumentare il carico proteico nella dieta del piccolo, che non farebbe altro che spingerlo a mangiare meno. Se davvero sta mettendo i primi dentini, è normale che non abbia appetito e che preferisca qualcosa di fresco o di liquido piuttosto che una pappa calda. Bisogna solo far passare questo particolare periodo, senza avere inutili ansie o preoccupazioni.

    I bambini è meglio farli mangiare da soli o a tavola con i genitori?

    Una delle regole della buona alimentazione è quella di tenere i bambini, fin da quando riescono a stare seduti e con la schiena dritta, a tavola con tutta la famiglia. I piccoli devono partecipare al pranzo dei grandi, gustare i loro cibi ed imitare genitori e fratelli. In particolare questo si apprezza nei bambini con scarso appetito che frequentano la mensa scolastica. Il cibo deve sempre essere presentato come “buono”, “saporito”, “profumato” … e mai come strumento di buona salute. I bambini sono più portati ad imitare i grandi ma molto difficilmente si comportano come loro dicono. Un bambino con scarso appetito è un piccolo a cui va insegnato a gustare il cibo, attraverso la varietà, la ripetitività dell’offerta e soprattutto l’esempio.

    Il bambino disappetente, per un breve o un lungo periodo, deve essere valutato nella sua globalità. Le domande che un genitore deve porsi sono: “è sereno?”, “è vivace?”, “sta crescendo?”. Se a queste domande le risposte sono affermative possiamo stare tranquilli. L’obiettivo che dobbiamo porci è quello di avere dei figli magri, che apprezzino il cibo, che sanno condividere il piacere di stare a tavola e si nutrono bene. Del resto questo è l’unico modo che abbiamo, tutti i giorni, più volte al giorno, di dare salute ai nostri figli.

    Faq

    Domande frequenti

    Mi devo preoccupare se il bambino non mangia?

    La riduzione dell’alimentazione del bambino per alcuni giorni non deve preoccupare la famiglia. L’organismo riesce a gestire le sue risorse a favore della risoluzione della malattia naturalmente e gradualmente, riacquistando le performance precedenti.
    Forzare il bambino ad alimentarsi comporta un duplice rischio: sottoporre il bambino a uno stress alimentare che il suo organismo non richiede e correre il rischio di allontanarlo ancora di più dal cibo.
    Infatti, per ciò che riguarda quest’ultimo punto, non ci stancheremo mai di ripeterlo, i bambini percepiscono le ansie degli adulti.

    Ciò che è invece veramente importante, soprattutto quando la malattia si accompagna ad uno stato febbrile o vomito e diarrea, e tanto più quanto più piccolo è il bambino, è l’introduzione di liquidi e zuccheri: acqua, latte, spremute, frullati o soluzioni reidratanti non devono mancare. Infatti, i bambini sono più soggetti ad una rapida disidratazione rispetto agli adulti e ciò va prevenuto mantenendo una costante, anche se minima, introduzione di liquidi (idratazione “al cucchiaino o goccia a goccia” come mi piace chiamarla). Ciò che si chiede ai genitori, anche in questo caso, è la fantasia di inventarsi nuovi modi per invogliare i più piccoli a bere: cucchiaino, bottiglietta, cannuccia e poi… racconti, canzoncine, giochi e coccole per levare ai giorni della malattia transitoria gli aspetti ansiogeni, e rivestirli di quanta più serenità sia possibile.

    Con la supervisione di:

    Pediatra margherita caroli ecog sio oms

    Dott.ssa Margherita Caroli Pediatra

    Prof. Andrea vania - alimentazione bambini

    Prof. Andrea Vania Pediatra