Il bambino non vuole mangiare cibi nuovi: che fare?
Si chiama neofobia, ha origine fisiologica e genetica, è diffusa e si può superare: ecco come con i consigli del professor Vania.
Il bambino fa i capricci a tavola? Vuole solo pasta in bianco o spaghetti al sugo e se vede un cibo nuovo strilla e mette il muso? Pranzi e cene sono delle guerre psicologiche? Bene (anzi, male): avete a che fare con la neofobia, cioè il rifiuto di assaggiare nuovi cibi. La notizia positiva è che è piuttosto diffusa nei bambini (“mal comune…”), ma, soprattutto, che si può superare. Ma attenzione: non bisogna prenderla sotto gamba, perché il suo perdurare è un ostacolo per un’alimentazione sana ed equilibrata. “Non bisogna però confondere la neofobia con il non gradimento di un singolo cibo” avverte il professor Andrea Vania, responsabile del Centro di Dietologia e Nutrizione pediatrica dell’Università La Sapienza di Roma e past president dell’ECOG, l’European Childhood Obesity Group. “La neofobia è il rifiuto di una categoria di cibi – la frutta, la verdura, il pesce – e va affrontata con determinazione, mentre è normale che possa non piacere un singolo alimento o una determinata preparazione”.
Professor Vania, ma che cos’è di preciso la neofobia e perché è così diffusa?
“Letteralmente, la neofobia è il rifiuto delle novità, ma in campo alimentare è, in maniera più estensiva, anche il rifiuto di cibi già noti. È così diffusa perché ha un’origine genetica determinata dall’evoluzione della specie. La specie umana, come altre specie animali, è composta da neofobici e neofilici: i primi non moriranno mai avvelenati, ma di fame sì; i neofilici, che invece apprezzano le novità, possono morire avvelenati, ma non di fame. Ma ci sono periodi della vita in cui la neofobia è anche fisiologica: sono tra i 2-3 anni e intorno alla pubertà, ovvero quando il bambino prima e l’adolescente dopo iniziano ad affermare la loro autonomia. Sono periodi passeggeri, anche se hanno una durata non esattamente definibile. Il problema è far sì che non si prolunghino troppo e qui entrano in gioco i genitori”.
Ecco, veniamo ai genitori. Se il bambino rifiuta il cibo, che devono fare? È meglio forzarlo o assecondarlo?
“Né l’una né l’altra cosa. Vale la regola di sempre: i genitori devono decidere che cosa dar da mangiare e i limiti superiori delle quantità, il bambino può decidere se e quanto mangiare. Quindi, se non vuole mangiare non vanno proposte alternative, perché sono atteggiamenti come questi che possono far perdurare i comportamenti di rifiuto. D’altra parte, non succede nulla se il bambino salta un pasto. Attenzione però, perché non vanno neanche bene i metodi dei nonni, tipo riproporre lo stesso piatto per giorni finché il bambino non cede: sarebbe un’imposizione altamente diseducativa”.
Ma spiegare che verdura, frutta e pesce fanno bene può far presa su un bambino?
“No, non ha alcun appeal. Dire, per esempio, che la frutta può aiutare a prevenire il cancro, le malattie cardiovascolari o il diabete, è un argomento al di fuori della portata e dell’interesse del bambino e anche dell’adolescente. L’unica cosa che funziona per superare la neofobia è riproporre i cibi rifiutati come se niente fosse”.
E quante volte vanno riproposti i piatti?
“Normalmente ci vogliono dalle 10 alle 15 riproposizioni, che non devono essere continuative e quotidiane, ma neanche distribuite in un arco di tempo troppo lungo. Riproporre lo stesso cibo cambiando ricetta può essere utile per avvicinare il bambino a un gusto nuovo, però non è detto che quel cibo piaccia poi sempre, perché ogni preparazione è un caso a sé. Ci vuole quindi pazienza, perché i risultati non sono quasi mai immediati: i genitori non devono lasciarsi prendere dalla frustrazione né devono mettersi sullo stesso piano del bambino, perché altrimenti diventa una guerra in cui, come Davide contro Golia, quello che vince è proprio il bambino”.
Cos’altro può servire per portare il bambino verso un’alimentazione varia e bilanciata?
“Nei casi in cui la neofobia continua nel tempo, un bambino di 4-5 anni può essere coinvolto nel fare la spesa o in cucina, per esempio in attività che possono essere per lui divertenti, come lavare le verdure giocando con l’acqua oppure infarinare e impastare. Conta anche l’aspetto dei piatti, l’abbinamento di ingredienti da colori diversi. E conta pure non esagerare con la quantità dei cibi che vengono riproposti: se non gradisce i piselli, mettergliene una montagna nel piatto può solo spaventarlo”.