“Siamo ciò che nostra madre ha mangiato”, programmazione fetale e salute futura
Secondo l’ipotesi della programmazione fetale sia la ipo che la iper-nutrizione materna possono indurre modifiche endocrino-metaboliche nel nascituro.
Molto abbiamo scritto sugli effetti benefici a lungo termine di un allattamento al seno esclusivo e di una corretta alimentazione complementare, ma la scienza ci spinge a giocare ulteriormente d’anticipo.
Prende forma infatti negli anni Novanta la teoria di un ricercatore inglese, David Barker, che mette in relazione il basso peso alla nascita con la maggiore incidenza di patologie cardiovascolari nell’adulto. L’ipotesi de “l’origine della salute e della malattia” o della programmazione fetale di Barker sostiene che, durante la vita intrauterina, un cattivo stato di nutrizione della madre sia in grado di indurre delle modifiche endocrino-metaboliche nel nascituro. Questi cambiamenti avrebbero lo scopo di proteggere il bimbo da eventuali carenze successive forgiando il cosiddetto “fenotipo risparmiatore”, ovvero un bimbo che necessita meno per la sopravvivenza. Se da un punto di vista evoluzionistico questo fenomeno ha avuto effetti positivi, nel caso di successiva abbondanza di cibo, esso facilita lo sviluppo di malattie quali sindrome metabolica, diabete, etc.
Emblematico è il caso dei figli nati da madri in gestazione durante “l’inverno di fame” nell’Olanda della II Guerra Mondiale, quando l’occupazione tedesca aveva ridotto la razione alimentare pro capite fino a solo 400-800 kcal die. Nei bambini nati da gravidanze portate avanti in quello stato carenziale si è osservata, in età adulta, un notevole aumento dell’incidenza di patologie cardiovascolari e psichiatriche (ansia, depressione, schizofrenia e degenerazione cognitiva precoce).
D’altro canto, anche l’eccesso calorico-proteico della gestante e il conseguente aumento di peso correlano con una maggiore incidenza di malattie endocrine e cardiovascolari.
Il rischio di patologia futura del bambino si descrive, pertanto, con una curva a U, in cui i 2 picchi sono rappresentati dall’ipo e dall’iper-nutrizione materna.
Alla luce dei molti studi epidemiologici e su animale è possibile definire, almeno in parte, fattori, interazioni e organi che concorrono a comporre questo complesso fenomeno:
- Ipernutrizione materna: una dieta ricca in grassi comporta un’alterazione della espressione di geni che codificano per le beta cellule pancreatiche (deputate alla produzione di insulina) inducendo iperinsulinismo nel nascituro. Inoltre l’eccessivo introito materno conduce a una maggiore espressione di geni che producono proteine infiammatorie coinvolte nella genesi della sindrome metabolica.
- Diabete gestazionale: bimbi nati da madri con diabete in gravidanza hanno un rischio 9 volte maggiore di sviluppare diabete tipo 2. Negli studi su animali questo è stato spiegato con una iperplasia delle cellule beta nel feto causata della iperglicemia materna. Questo comporterà in età adulta un aumento dell’insulina più precoce e un successivo esaurimento della sua produzione.
- Malnutrizione materna: La restrizione calorica e/o proteica del 50% correla con prole con una riduzione del 20-40% delle beta cellule pancreatiche e ciò è ancora più manifesto se la restrizione ha luogo in fasi tardive di gravidanza. La causa sembrerebbe risiedere nella minore espressione di geni che codificano per enzimi antiossidanti deputati a proteggere le beta cellule.
- Alimentazione post-natale: le alterazioni indotte dal programming fetale sembrano proseguire e strutturarsi anche nelle prime fasi della vita extrauterina, in particolare durante l’allattamento. Se neonati di basso peso vengono iperalimentati tendono a manifestare successivamente iperfagia (aumento dell’appetito) per una iperattivazione degli ormoni della fame che condurrà a un maggiore rischio di obesità.
- Ipotalamo: rispetto al dispendio energetico e all’introito calorico, svolge un ruolo centrale la programmazione (anche postnatale quindi) dell’ipotalamo, in particolare le strutture neurologiche del nucleo arcuato. Neuropeptidi oressizzanti (che aumentano la fame) come l’NPY e anoressizzanti (che la diminuiscono) come il POMC (proopiomelanocortina, precursore di molti altri ormoni) vengono modulati nella loro espressione genica proprio attraverso gli assetti quali-quantitativi dell’alimentazione della gestante.
La crescente incidenza di patologie cardiovascolari, diabete e obesità, non più solo nei paesi industrializzati ma anche in quelli in via di sviluppo, ci impone di definire nuovi obiettivi di salute pubblica. E’ fondamentale in quest’ottica non trascurare la funzione del programming e fare in modo che la prevenzione delle malattia inizi ancor prima della gravidanza, attraverso l’acquisizione di comportamenti alimentari e di stili di vita più accorti.
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