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Stili di vita

Grassi tropicali: olio di palma, olio di palmisto, olio di cocco

L'Oms consiglia un consumo limitato di questi oli per l’alta percentuale di grassi saturi e la conseguente tendenza ad alzare i livelli di colesterolo.

Pubblicato il 06.05.2013 e aggiornato il 15.10.2021 Scrivi alla redazione

Gli oli tropicali sono indicati per la nostra salute e per quella del pianeta? In effetti, la questione è molto più complessa di quanto non si creda a causa degli enormi interessi economici che vi girano intorno. Gli oli tropicali sono, infatti, posti al centro di una disputa tra la potente industria che li produce, il mondo scientifico che ancora cerca di definirne con certezza tutte le implicazioni per la salute e le principali organizzazioni, incluse quelle deputate alla protezione dell’ambiente che dettano le linee guida internazionali che continuano a raccomandare severe limitazioni nell’uso di questi grassi.

Iniziamo con il dire che il termine “tropicale” definisce sostanzialmente 3 oli differenti che andremo a conoscere meglio:

  1. l’olio di palma, estratto attraverso la spremitura dei frutti denocciolati e cotti della palma, appunto. L’olio filtrato ha un colore rossastro grazie all’alto contenuto di carotenoidi ed è solido a temperatura ambiente. Dopo raffinazione per bollitura acquista un colore biancastro (ma perde i carotenoidi) ed è così utilizzato nell’industria alimentare anche in considerazione dei suoi bassi costi. Il contenuto di grassi saturi è pari al 48%. Va detto che l’olio di palma rosso, usato come tale nei paesi d’origine, è molto più salutare dell’olio di palma raffinato (incolore), per via dei molti antiossidanti in esso contenuti tra cui beta-carotene, squalene, vitamina A e E.
  2. l’olio di palmisto, ottenuto dai semi della palma essiccati, macinati e filtrati. Il prodotto grezzo è solido e brunastro e acquista un colore biancastro, dopo raffinazione. Viene utilizzato nell’industria dolciaria in particolare per glasse e farciture. Il contenuto in grassi saturi è quasi doppio (82%) rispetto all’olio di palma.
  3. l’olio di cocco, derivato dalla pressatura della polpa essiccata della noce di cocco. Molto versatile, è ampiamente utilizzato nella cosmesi come nell’industria alimentare (resiste alle alte temperature e non irrancidisce). Presenta un’elevatissima percentuale di grassi saturi pari a circa il 90%.

Veniamo ora alla questione salute, sulla quale sia l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) che l’Aha (American heart association), così come le maggiori entità legiferanti in ambito di sicurezza degli alimenti, si sono pronunciate, consigliando, come detto, un consumo limitato di questi oli, principalmente per l’alta percentuale di grassi saturi e la conseguente tendenza a alzare i livelli di colesterolo e aumentare così il rischio di patologia cardiovascolare.

Dalla letteratura scientifica più recente, di contro, emergono evidenze interessanti che si oppongono ai dogmi delle grandi associazioni, ma ancora gli studi non sono conclusivi, sebbene in fervente incremento. Importante peraltro osservare che gli oli tropicali subiscono vari processi di raffinazione per essere più duttili nell’industria alimentare (nonché cosmetica, dei detersivi e finanche dei biocombustibili), ma queste trasformazioni chimiche comportano un’alterazione dei componenti base non solo rappresentata dalla perdita dei fondamentali antiossidanti succitati (che veicolano benessere attraverso la riduzione del rischio cardiovascolare e carcinogeno, come evidenziato in recenti ricerche), ma anche dalla produzione di differenti molecole i cui effetti sulla salute sono ancora da indagare.

Un’altra questione va però affrontata parlando dei grassi tropicali: quella ecologica, come sottolineano le maggiori associazioni ambientaliste che denunciano la distruzione della foresta pluviale in Indonesia e Malesia (e in modo minore in Uganda e Costa d’Avorio) per ottenere territori sempre più ampi per la monocoltura di palme da olio e soddisfare così la crescente richiesta legata anche all’utilizzo come biocarburante dei prodotti derivati (basti pensare che la produzione di olio di palma è passata dai 23 ai 43 milioni di tonnellate/anno tra il 2004 e il 2009). Gli effetti in termini di emissioni di anidride carbonica e di riduzione della biodiversità animale (per esempio, il rischio estinzione degli orango in Borneo) e vegetale sono disastrosi.

Detto ciò, e fatte le rispettive scelte personali da consumatori responsabili e informati, ci troviamo di fronte all’annoso problema che non sempre, nell’etichetta dei prodotti alimentari, troviamo specificamente segnalata la presenza di questi oli, spesso nascosti sotto la generica definizione di “oli vegetali”. La buona notizia è che dal 14 dicembre 2014, in ottemperanza al regolamento 1169/11 dell’Unione Europea i produttori saranno obbligati a indicare specificamente la natura degli oli impiegati, pertanto, tutti i consumatori attenti potranno da allora fare acquisti più consapevoli. Nel frattempo ci permettiamo di consigliare di scegliere gli alimenti prodotti dalle industrie più sensibili che già spontaneamente dichiarano nei particolari il tipo di grassi vegetali utilizzati.

Con la supervisione di:

Dott.ssa Margherita Caroli Pediatra

Prof. Andrea Vania Pediatra