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Sviluppo psicofisico

Attaccamento e distacco nei bambini

L’attaccamento coinvolge la mamma e il bambino, inizia a formarsi subito dopo il parto, mantenendosi fino agli uno o 2 anni, fino al fisiologico distacco

Pubblicato il 30.06.2018 e aggiornato il 14.07.2022 Scrivi alla redazione

Tra le primissime attività comportamentali e di sviluppo psichi­co, quella che condizionerà in parte anche la vita futura del­la persona è rappresentata dal fenomeno detto attaccamento (attachment), che comporta la formazione della cosiddetta diade madre-bambino, un’entità psichica riconosciuta dalla maggior parte delle scuole di psicologia e psicoterapia.

Si tratta di una relazione bidirezionale, caratterizzata dalla reciprocità con profondi agganci sia biologici che comporta­mentali, che è ereditata in tutti i primati, coinvolge in pari grado la mamma e il bambino, inizia a formarsi già nelle primissime ore dopo il parto, stabilizzan­dosi poi con molta rapidità attraverso una serie di tentativi ed errori, ha una sua vita media fisiologica variabile tra uno e due anni, quando l’altrettanto fisiologico distacco (detachment) determinerà il passaggio (il ritorno, nel caso materno) a due persone diverse e autonome, anche se esse resteranno stret­tamente collegate per tutta la loro vita.

L’attaccamento, dal punto di vista dei comportamenti messi in atto dal bambi­no, si manifesta con quattro principali modalità, che dipendono anche dall’età: il bambino piange, si attacca o abbraccia, cerca il contatto con la persona, la segue con lo sguardo o – se già è in grado – camminando.

Ma, come detto, l’attaccamento è bidirezionale, e anche l’adulto (solitamente entrambi i genitori) creano rapidamente un legame forte di attaccamento col bambino. Questo legame è tanto più saldo e sano quanto più precocemente esso può iniziare: le prime 6-12 ore di vita sono considerate un “periodo sen­sibile” per la formazione di una diade bilanciata, e anche per questa ragione il rooming-in (mamma e bambino nella stessa stanza e a stretto contatto fin da subito, dopo il parto) è una modalità di post-partum decisamente migliore rispetto al classico nido separato dal reparto delle puerpere.

Va sottolineato che ciò che si eredita non è l’attaccamento in sé, inteso come comportamento istintivo, bensì la capacita di costruirlo, e la capacità di se­lezionare una o poche figure che rappresentano la “base sicura” alla quale il bambino può affidarsi, con comportamenti che da un lato lo rinforzano nelle sue abilità, e dall’altro stimolano la capacita materna di mantenere la prossimità col bambino e di garantirgli disponibilità, cioè di attuare quello che si chiama anche maternage.

Quando si può sospettare che l’attaccamento iniziale ma­dre-bambino non sia del tutto sano?

Un attaccamento solido con una base sicura vede un bambino che esplicita le sue necessità di cure al meglio delle sue possibilità, e una madre che cerca al suo meglio di rispondere coerentemente, con la presenza, con i gesti, con le cure appropriate alla richiesta del momento.

È anche per questo che il pediatra solitamente insiste molto perché, ad esempio, l’allattamen­to al seno segua ritmi compatibili con la reale fame del bambino, e non sia una semplice risposta standard a qualsiasi pianto, che potrebbe essere legato ad altre necessità del piccolo che esulano dalla fame e dal suo soddisfacimento (es.: coliche, naso chiuso, voglia di contatto, freddo, caldo, ecc.). Così come si insiste perché i genitori cerchino di capire il prima possibile “cosa” quella tonali­tà e modalità di pianto stia a significare: per quanto inizialmente il pianto del bambino sembri sempre uguale ben presto il bambino stesso impara che con pianti diversi si otten­gono reazioni diverse del genitore, e allo stesso modo il genitore deve imparare il “linguaggio” del pianto del proprio figlio. Tra l’altro anche questo aspetto, così come quello legato a un accudimento cor­retto, rappresenta secondo alcuni un’attività fondamentale all’apprendimento del linguaggio, che si svolge secondo la modalità del “io parlo – tu ascolti”, e viceversa “tu parli – io ascolto”.

Tutte le volte che il contatto genitore-bambino è in qualche modo povero, con cure fornite sì adeguatamente, ma senza quella forte partecipazione affettiva e emotiva sopradetta, si può sospettare che qualcosa non vada per il verso giusto: un genitore che non sorride al bambino anche quando sta facendo qualcosa di non troppo gradevole per sé, come cambiargli il pannolino, o che non lo rassicura e conforta mentre fa qualcosa di non troppo gradevole per il bambino, come fare i lavaggetti del nasino con la soluzione fisiologica, o che non mantiene il contatto visivo e fisico col bambino mentre lo alimenta col biberon (se non c’è possibilità di dare il seno) sono tutti segnali di allarme da non sottovalutare.

Ma anche una diade troppo chiusa in se stessa, e che tende a estendersi all’infinito – senza cambiamenti di modalità, va sottolineato, perché l’attac­camento tra genitori e figli inteso come forte legame affettivo è ovviamente presente per tutta la nostra vita – non è probabilmente sana, e nasconde delle difficoltà che esula dagli scopi di questa guida affrontare in esteso, ma che certamente devono spingere a chiedere un aiuto esterno. Tra le tante tipologie di attaccamento sbagliato in questo senso va ricordato, almeno, il bambino che continua a cercare il seno per tempi esageratamente lunghi (ca­pita anche per 3-4 anni e perfino di più!), o la mamma che non accetta che il bambino termini autonomamente la ricerca del seno, quando il primo “sente” che è ora di lasciarlo.