Punizione o ricompensa, metodi educativi a confronto
Almeno fino ai 12 anni, preferiamo alla punizione la ricompensa ma senza abusarne, in modo da renderla più incisiva. Nel tentativo di limitare le punizioni, ignoriamo i comportamenti negativi.
Il mondo della moderna pedagogia sia genitoriale che scolastica tende a preferire il cosiddetto rinforzo positivo, o ricompensa, alla vecchia e variegata punizione, o rinforzo negativo. Purtroppo, a fronte di questa teorica indicazione, l’Unicef ancora nel 2014 stimava che il 60% dei bambini del globo sono, in vari modi, picchiati. A fronte di questa alta incidenza, il mondo accademico concorda sul fatto che la punizione corporale dovrebbe essere eliminata dall’ambito dei rinforzi negativi perché, quand’anche si parli di una sculacciata e non di violenza fisica (sperando che ve ne sia sempre meno nel mondo, tanto più verso i più piccoli), essa chiude comunque ogni via di comunicazione e consapevolezza nel bambino e rimane più che altro un mero sfogo per la frustrazione del genitore. Il bimbo, infatti, sarà più preoccupato di sfuggire alla punizione che di comprendere perché questa sia stata attuata. Secondo i neurologi, infatti, nel bambino, in questi casi, si attua la risposta del cervello primordiale tipo attacco-fuga propria dei momenti di pericolo e si blocca il ragionamento evoluto che ha luogo nella corteccia prefrontale e che porterebbe a una comprensione del fenomeno. In tutti i grandi studi emerge, nuovamente, come anche la modalità educativa sia funzione della scolarizzazione, delle condizioni psico-emotive, nonché del livello socio-economico e dell’estrazione culturale, etnica e religiosa dei genitori.
Una evoluzione moderna e sicuramente meno umiliante e prevaricatrice della punizione è per esempio la sospensione o time out, ovvero il contrastare il momento di capriccio o comportamento inadeguato del bambino facendolo fermare dalle sue attività per un tempo stabilito, allo scopo di calmarsi e riprendere poi una interazione più serena. Durante la sospensione il bambino dovrebbe riflettere sull’accaduto e imparare qualcosa, di fatto ciò dipende innanzi tutto dalle capacità cognitive legate all’età, ma anche dalla modalità e lo spirito con cui il time out è imposto. Bisogna però ammettere che, a fronte di tanta teoria, qualsiasi genitore si è trovato a dover gestire le intemperanze del figlio dopo una lunga giornata di lavoro, stanco e nervoso e non sempre l’intervento punitivo, seppur moderno, riesce ad essere così riflettuto e razionale. Allo stesso modo è difficile pretendere un comportamento irreprensibile da un piccolo di 5-6 anni o meno quando decidiamo di portacelo in giro la sera tardi in qualche ristorante rumoroso, in questo caso non ci sarà sicuramente nessun rinforzo negativo che tenga. Sta al genitore comprendere i propri limiti e quelli del proprio bambino in modo da evitare inutili situazioni a rischio.
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Veniamo ora al rinforzo positivo, in tutte le sue accezioni, quali premi, complimenti o acquisizione di privilegi, sicuramente tutte modalità apprezzate dai bambini, dai genitori “moderni” e anche dagli scienziati. Questi ultimi hanno infatti osservato che al rinforzo positivo, particolarmente nei bambini sotto i 12 anni di età, si attivino specifiche aree responsabili del controllo cognitivo localizzate nella corteccia cerebrale. In ragazzi di età maggiore, invece, le stesse aree si attivano maggiormente in risposta ad un rinforzo negativo, come se il cervello riuscisse, dopo una certa età, a processare meglio l’informazione e a non soccombere alla frustrazione. Questa interessante scoperta indirizzerebbe quindi i modelli educativi genitoriali e anche didattici in modo differente nei pre- e post-puberi. I detrattori della modalità “ricompensa” sostengono che il difetto di questa sia la sua necessità di essere ripetuta a ogni buon comportamento senza rimanere come acquisizione stabile, cosa che invece varrebbe per il timore della punizione che permane indipendentemente che questa venga attuata o meno. Inoltre, altri studi hanno osservato come, sulla base di un forte rinforzo positivo, il bambino certamente effettuerà il lavoro prescritto, ma lo farà con minore motivazione e creatività di quella che avrebbe avuto in uno spontaneo approccio a una stessa attività priva di successive ricompense, ma ricca di sfida e divertimento in sé.
In sintesi, almeno fino ai 12 anni, preferiamo alla punizione la ricompensa ma senza abusarne, in modo da renderla più incisiva e lasciare che il bambino tragga gratificazione dall’attività stessa. Nel tentativo di limitare le punizioni, ignoriamo i comportamenti negativi, ovviamente nei limiti permessi dal contesto in cui questi hanno luogo.
Detto ciò, tanto la punizione che la ricompensa pongono delle condizioni, mentre l’attenzione positiva verso le esigenze dei nostri figli e la comprensione empatica delle loro necessità sono, o dovrebbero essere, sempre incondizionate.
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