Mensa scolastica: i consigli dei pediatri ai genitori
La mensa scolastica deve fornire ai bambini pasti sani e dare buone abitudini. Un processo di educazione in cui i genitori hanno un ruolo importante.
Un po’ di storia
Il servizio di Mensa Scolastica, un tempo chiamato refettorio, fu attivata nel dopoguerra e aveva lo scopo di dare un aiuto alle famiglie che vivevano una situazione economica difficile. Infatti, si preoccupava di fornire il 50% del fabbisogno nutrizionale quotidiano dei bambini, per molti dei quali, spesso, rappresentava anche l’unico pasto della giornata. Dopo i cambiamenti sociali del secondo dopoguerra e il boom economico degli anni sessanta, il significato della mensa scolastica è profondamente cambiato assumendo una funzione prevalentemente educativa e di attenzione alla salute. Non a caso nelle “Linee guida per la ristorazione scolastica” del Ministero della Salute viene ricordato che tra i diritti dell’infanzia, pronunciati dall’ONU nel 1989, c’è anche quello ad avere “un’alimentazione sana e adeguata al raggiungimento del massimo della salute”.
Quali istituzioni sono coinvolte nella ristorazione scolastica?
- Gestore del servizio di ristorazione;
- Ente committente (Comune o scuola paritaria);
- Azienda sanitaria locale;
- Utenti (bambini e loro familiari);
- Istituzioni scolastiche.
Ogni mensa scolastica dovrebbe avere una commissione in cui sono presenti tutte le parti interessate e attente al benessere del bambino allo scopo di fornire un pasto nutrizionalmente equilibrato, quantitativamente adeguato e con controlli di qualità e di conservazione degli alimenti.
Perché partecipare alla mensa scolastica?
Con la mensa il bambino comincia a sperimentare anche la sua autonomia alimentare e ad assaggiare cibi nuovi spesso sconosciuti o rifiutati a casa. Qui, l’esempio dei compagni e la condivisione svolgono un ruolo di grande coinvolgimento che spesso aiuta a superare la neofobia alimentare (rifiuto dei cibi nuovi) tipica tra i 2 e 3 anni di età.
La selettività alimentare
La selettività alimentare è sempre più diffusa e ha conseguenze serie: la ri-familiarizzazione con gli alimenti deve essere graduale e non troppo rigida
Le insegnanti più attente lo vivono come un tempo didattico aggiuntivo da dedicare alla corretta educazione alimentare e alle regole dello stare insieme. Inoltre ci si impegna a prevenire l’obesità e tutte quelle patologie cronico-degenerative ad essa correlate, come il diabete, l’osteoporosi o l’ipertensione, a cui porre attenzione fin dall’infanzia.
Ogni anno a settembre si ricomincia a parlare di mense scolastiche e, ogni anno a settembre, ricorrono le stesse domande e gli stessi dubbi:
È bene per i bambini partecipare alla mensa?
SI. Su questo punto ormai nessuno dovrebbe avere più dubbi perché è il modo più naturale per insegnare ai piccoli a condividere un momento importante: mangiare. Spesso dimentichiamo che questo è un atto che si ripete più volte al giorno, tutti i giorni della vita, per cui, dargli già da piccoli un senso di ludica condivisione, li prepara a un maggiore rispetto del cibo e delle regole elementari dello stare seduti a tavola.
Se i bambini mangiano poco è giusto toglierli dalla mensa?
NO. La mensa scolastica non dovrebbe avere l’unico scopo di nutrire i bambini, come avveniva in passato. Il suo fine principale è quello di educare il bambino alla corretta alimentazione, fargli assaggiare sapori che altrimenti potrebbe non conoscere a casa, offrire una varietà di gusti nel rispetto della tradizione e dell’offerta alimentare locale.
Piuttosto dovremmo preoccuparci dei piccoli che mangiano troppo ed essere vigili affinché le porzioni siano quelle adeguate, almeno rispetto all’età. Gli insegnanti dovrebbero fare attenzione che non siano date doppie porzioni, che tra l’altro, per disposizione, non sono neanche consentite.
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Dobbiamo delegare le maestre al controllo dei pasti?
NO. Dovremmo affiancarle nel controllo attraverso la presenza attiva di comitati di genitori, che come prevede la legge, possono ispezionare le cucine e le mense dove vengono preparati e distribuiti i cibi. Questo impegno prevede un atteggiamento di sincera collaborazione tra le ditte fornitrici, il personale che distribuisce, le insegnanti e il comune appaltatore, all’unico scopo di tutelare la salute dei piccoli fruitori.
Dobbiamo pretendere che gli alimenti siano tutti biologici?
NO. Questo non può essere il primo obiettivo al quale tendere dato che i costi lieviterebbero sensibilmente. Nel controllo di qualità si dovrebbe ottenere in primis che gli alimenti siano il più possibile a chilometro zero, indiscutibilmente di stagione e controllati nei residui di pesticidi. Il passo successivo potrebbe essere l’utilizzo di alimenti biologici che, fortunatamente, stanno trovando sempre più posto nei menù delle mense scolastiche di molte realtà anche periferiche.
È bene informarsi tutti i giorni se i piccoli hanno mangiato?
NO. Se lo fate regolarmente i bambini crederanno che sia la cosa più importante della scuola, che per voi è fondamentale e che quindi siete facilmente ricattabili sul tema cibo.
Se però la loro resistenza a partecipare alla mensa scolastica si rafforza nel tempo potrebbe essere la spia di un disagio scolastico che i piccoli non riescono a comunicare in altro modo.
È bene che il genitore sia informato sul menù quotidiano?
SI. Avere il menù appeso in cucina ci permetterà di preparare per cena alimenti diversi dal pranzo, impedire che il bambino si annoi a mangiare sempre i soliti cibi e assicurargli una dieta varia ed equilibrata che è la base indiscutibile della corretta alimentazione. Soprattutto sarà di sprono all’utilizzo di verdure e frutta che, come consiglia la Organizzazione Mondiale della Sanità, devono essere presenti sulla tavola nella misura di 3 porzioni di frutta e 2 di verdura al giorno.
Secondo uno studio Usa, fotografie di carote e piselli stampate sui vassoi spingono i bambini a mangiare più verdure. Anche l’aspetto può invogliare i più piccoli ad avere un’alimentazione sana?
Prof. Andrea Vania – Pediatra
“Assolutamente, la presentazione dei piatti è importante, a casa come a scuola. E infatti, soprattutto nelle scuole in cui la mensa è gestita internamente, i cuochi fanno del loro meglio per curare non solo la preparazione, ma anche l’aspetto delle pietanze”.
E se il bambino non ha mangiato a mensa? Integriamo a casa?
NO. Così facendo il bambino crederà di poter scegliere a suo piacimento e si sentirà autorizzato a non assaggiare sapori nuovi e colori diversi offerti a mensa. Un comportamento adottabile potrebbe essere quello di far giocare all’aperto i piccoli subito dopo la scuola, per poi offrire loro una merenda leggera fatta di frutta e yogurt appena tornati a casa. Questo permetterà loro di mantenere il giusto appetito per la cena, infatti spesso i bambini fanno i capricci a tavola perché non hanno fame, non ci dimentichiamo che “l’appetito è il miglior condimento”.
Dobbiamo occuparci degli avanzi della mensa?
SI. L’atto educativo genitoriale va ben oltre il benessere dei propri figli. Guarda ai bisogni degli altri e educa i bambini al rispetto del cibo che non va buttato ma, attraverso i volontari, ridistribuito. Il comitato genitori potrebbe gestire, con l’aiuto di associazioni e del comune, anche questa fase della mensa e chiudere in bellezza un’esperienza educativa unica e irripetibile al servizio della comunità dei minori che durerà anche dopo che i loro bambini avranno cambiato scuola.
L’educazione alimentare è l’unico modo che abbiamo per influire sulla salute attuale e futura dei nostri figli, è saggio, perciò, sfruttare tutte le possibilità che ci vengono offerte per raggiungere questo obiettivo, comprese quelle provenienti dalla frequentazione delle mense scolastiche.
Qui di seguito una intervista al prof. Andrea Vania sulla situazione italiana delle mense scolastiche con le sue luci e ombre
Qual è lo stato dell’arte delle mense scolastiche in Italia?
“La situazione è variegata sul territorio nazionale, dal momento che ogni Comune decide per conto suo come gestire le mense. In quasi tutti, e in quelli più grandi in particolare, ci sono delle commissioni ad hoc composte da nutrizionisti, dietisti, pediatri, igienisti e medici sportivi, il cui compito è proprio organizzare i menu. Teoricamente, quindi, tutto dovrebbe andare bene, ma nella realtà non è sempre così e ci sono ancora grossi problemi da risolvere. Secondo me, ci sono tre errori di fondo. Il primo è di impostazione e ce lo portiamo dietro dagli anni Venti, quando vennero creati i primi refettori: è considerare che le mense scolastiche debbano coprire il 50% del fabbisogno nutrizionale quotidiano dei bambini. Questa è un’impostazione che andava bene in un’epoca in cui la povertà era diffusa e si voleva andare incontro alle esigenze di quei bambini che a casa avrebbero mangiato poco o nulla. Ma oggi, dopo i cambiamenti sociali del secondo dopoguerra e il boom economico degli anni Sessanta, non ha più senso. È vero che molte commissioni hanno ridotto le quantità e che alcune mense scolastiche sono virtuose, ma in tante altre i piatti per i bambini continuano a essere eccessivi”
Oltre a un’impostazione non al passo coi tempi, che cos’altro non va?
“Il secondo grosso problema è quello dell’equilibrio nutrizionale, che non sempre viene rispettato. Faccio un esempio: in quasi tutti i menu sono previsti piatti con legumi e cereali, come pasta e fagioli o riso con le lenticchie. Sono piatti unici, ma nella consapevolezza che non tutti i bambini li mangiano, si preparano anche dei secondi. Così c’è il bambino che mangia solo il secondo e un altro, invece, che oltre alla pasta e fagioli si prende pure la carne. In questo modo si dimentica che la mensa deve essere un momento educativo, che deve sia stimolare i bambini ad apprezzare nuovi piatti, ma anche insegnare che alcuni piatti sono ‘piatti unici’ e non hanno bisogno di altro. Invece, così facendo si manca anche di far capire ai genitori che quando preparano un pasto con legumi e cereali serve solo un po’ di verdura e della frutta per avere un pasto completo ed equilibrato. Ma c’è un ultimo problema ed è quello della porzionatura. È chiaro che ogni mensa debba preparare i pasti considerando il numero complessivo e l’età media dei bambini. Va bene in linea teorica, ma non nella pratica, perché le porzioni non possono e non devono essere uguali per tutti i bambini, ma andrebbero proporzionate almeno rispetto all’età. Così invece passa il messaggio che tutti possano mangiare le stesse quantità e i bambini acquisiscono un modello che poi vogliono applicare anche a casa, chiedendo lo stesso piatto del papà o del fratello più grande. Tutto questo si eviterebbe se la mensa fosse vista, in primis dagli insegnanti, come un fatto educativo al pari delle ore di lezione. Gli insegnanti dovrebbero non tanto controllare ogni alunno, che è una cosa impossibile, ma quantomeno vigilare che non siano date doppie porzioni, che tra l’altro, per disposizione, non sono neanche consentite”
Le mense sono utili perché portano i bambini a scoprire nuovi sapori. È così?
“Sì, tanto che molto spesso i bambini mangiano a scuola piatti che invece a casa rifiutano. Lo fanno in genere per imitazione, vedendo i loro compagni. Il risultato è che così molti si approcciano a nuovi ingredienti. È vero, però, che a scuola si fa troppo poco verso i bambini fortemente neofobici”.