Sviluppo psicofisico

Quando iniziano a parlare i bambini

Lo sviluppo del linguaggio infantile fa parte di un lungo processo di maturazione che conduce il bambino all’acquisizione di competenze e abilità motorie, cognitive, relazionali ed emotive. Lo sviluppo cognitivo e motorio viene suddiviso in “tappe dello sviluppo psicomotorio" ed è essenzialmente dipendente dalla maturazione del Sistema Nervoso Centrale. Da 0 a 6 anni il bambino passa progressivamente da una comunicazione non verbale a una comunicazione verbale.

Pubblicato il 22.03.2021 e aggiornato il 21.03.2022 Scrivi alla redazione

Lo sviluppo del linguaggio infantile è un lungo processo che attraversa diversi step – fasi di sviluppo – e coinvolge abilità differenti, non solo abilità linguistiche. Questo percorso, in sintesi, evolve conducendo il bambino all’acquisizione di competenze linguistiche e abilità motorie, cognitive, relazionali ed emotive. Lo sviluppo cognitivo – motorio viene suddiviso in “Tappe dello sviluppo psicomotorio” ed è essenzialmente dipendente dalla maturazione del Sistema Nervoso Centrale.

Nel suo sviluppo tipico, da 0 a 6 anni, il bambino passa dall’acquisizione di una comunicazione non verbale all’acquisizione di una capacità comunicativa linguistica che ne caratterizzerà le capacità espressive anche da adulto. Questo passaggio (che porta allo lo sviluppo del linguaggio) è lungo ed è fatto di sperimentazioni e tappe: lallazione, imitazione di primi suoni semplici, scoperta di una grande varietà di suoni, prime sillabe, paroline brevi e, solo infine, esercizio e sperimentazione delle prime frasi complete.

Prime intenzioni comunicative: sviluppo del linguaggio non verbale

La comunicazione non verbale attiene al vocabolario espressivo fisico e gestuale, si avvale del linguaggio del corpo ed è intrisa di competenze comunicative gestuali influenzate dalla cultura di appartenenza. Lo sviluppo delle competenze infantili non è mai avulso dall’humus culturale in cui il bambino è calato e lo sviluppo del linguaggio non fa eccezione.

Linguaggio non verbale

Il linguaggio non verbale è una tappa tipica e fondamentale dello sviluppo comunicativo del bambino (lo sviluppo comunicativo fa parte del processo di sviluppo linguistico). Il linguaggio innato consente di comunicare attraverso l’intelligenza dei “neuroni-specchio“, come è stato dimostrato. Questi neuroni sono alla base della facoltà di intuire, interiorizzare e ripetere per imitazione il messaggio dell’altro. Attraverso un processo di imitazione dei suoni e dei movimenti dei genitori e dei care-giver, il bambino inizia a produrre espressioni facciali e intonazioni pre-verbali sin dalla nascita. Ricordiamo che la prima forma di comunicazione non verbale del bambino è il pianto, e solo con il tempo, attraverso un percorso di affinamento della produzione linguistica, si arriverà alla produzione di un linguaggio elaborato.

Informazioni utili sul mammese (motherese, baby talk)

L’apprendimento del linguaggio (ovvero la progressione del bambino attraverso livelli linguistici sempre più complessi) si va man mano strutturando grazie agli stimoli provenienti dall’ambiente e grazie soprattutto al linguaggio materno: il mammese (dall’inglese motherese). Il mammese, noto anche come infant-directed speech (IDS), letteralmente linguaggio diretto al bambino, o ancora “baby-talk”, si riferisce al modo spontaneo in cui le madri, i padri e comunque gli adulti tendono a parlare con i neonati e i bambini piccoli.

Dalle vocalizzazioni allo sviluppo del linguaggio più maturo: influenza dell’ambiente e della mamma

Anche se gli adulti non ne sono sempre consapevoli, il bambino si pone costantemente in ascolto, ovvero percepisce e assorbe tutto quello che accade nel mondo intorno a lui e la sua evoluzione, come le sue abilità, dipendono dall’influenza dell’ambiente, delle persone e della mamma.
Oggi addirittura degli studi hanno dimostrato i benefici per il bambino quando i genitori parlano un baby-talk fluente.

Il rapporto mamma – bambino è sempre tra gli aspetti fondamentali dello sviluppo dell’infante.

Questo particolarissimo linguaggio (il mammese) scaturisce dall’imitazione degli adulti che circondano il bambino e che, in vario modo, lo influenzano nelle sue fasi evolutive. Il bambino si impegna nell’ascolto di suoni che genitori, fratelli o sorelle, nonni, zii e persino il pediatra fanno. Spesso al bimbo rivolgiamo suoni senza senso, ma questi “vocalizzi” sono attività utili per il bimbo che imitando i grandi si cimenta, a sua volta, nella produzione del primo linguaggio, ovvero quella specie di balbettio tipico del bambino. L’emissione di suoni incomprensibili fonda l’apprendimento delle strutture basilari del linguaggio: suoni iniziali brevi e semplici, ripetizioni che si fa bene a stimolare, concreti di monosillabi ripetuti (pa-ppa, pa-pà, ma-mma, no-nno, bau-bau) rappresentano i primi passi compiuti dal bambino come parlatore e sono alla base dello sviluppo del linguaggio. Solo più tardi nei mesi si arriverà a frasi più complesse e articolate.

Abilità di imitazione e modo in cui gli adulti parlano ai bambini

Il modo in cui gli adulti (in primis la mamma) adattano il proprio linguaggio ai bambini non è di secondaria importanza. Non è solo un fatto di semplificazione: il mammese è una vera e propria lingua e comporta fra l’altro, il cambiamento del timbro dell’adulto che la usa. Di recente è stato anche scoperto che il timbro particolare che viene utilizzato dagli adulti che parlano in mammese ai bambini è universale, non varia cioè a seconda dell’etnia e della lingua della persona adulta. Quindi, tra effetto specchio dei neuroni e rafforzamento del linguaggio attraverso il mammese, il bambino nel giro di pochi anni acquisisce spontaneamente la lingua a cui viene esposto, senza il bisogno di un insegnamento specifico. Possiamo dire che il mammese avvia le competenze di comprensione linguistica del bambino.

Primi segnali: lallazione e acquisizione del linguaggio

In relazione all’acquisizione della capacità linguistica, tempi e modalità seguono percorsi variabili da bimbo a bimbo, anche se è possibile individuare una sequenza e una naturale cronologia di sviluppo (ovvero è possibile individuare degli indicatori di sviluppo). In questo senso la raccomandazione è quella di fare sempre attenzione a fattori soggettivi. Esistono molte trattazioni specialistiche che affrontano lo sviluppo linguistico, ma, per esempio, non esiste uniformità sul momento preciso in cui inizia la lallazione, ossia la produzione pre-linguistica dei lattanti. Ovvio è che l’assenza di lallazione va segnalata al pediatra e valutata con lui in relazione all’età. La lallazione è presente a partire dal settimo mese con coppie di vocali e consonanti ben definite e toni diversi.

Lo sviluppo psicomotorio (e quindi del linguaggio) è come un arcobaleno in cui non si può definire esattamente dove il giallo diventa arancio e poi rosso etc., eppure i colori sono chiaramente distinguibili, nel complesso generale dell’arcobaleno.

È necessario precisare che lo sviluppo del linguaggio non può essere indipendente dalla relazione fisica, affettiva e poi intellettiva con la persona che accudisce il bambino ogni giorno (come descritto da D. Winnicott, pediatra e psicoanalista).

  • La relazione di contatto fisico: l’abbraccio è il primo passo per la costruzione di una relazione emotiva con la madre, che nell’abbraccio contiene il figlio e definisce i limiti del suo stesso corpo.
  • Il contatto visivo costante e intenso durante l’allattamento favorisce la costruzione della relazione emotiva e fisica con la madre e quindi con una persona diversa dal bambino stesso.
  • Le espressioni del volto della madre, le reazioni agli eventi esterni “presentano” il mondo esterno al bambino e rappresentano la base di quello che gli esperti chiamano il protolinguaggio.

Ritardi: il bambino sta imparando a parlare nei tempi previsti oppure no?

Guida per mamme apprensive per capire se il bambino sta imparando a parlare nei tempi previsti

Senza disconoscere che ogni bambino ha il suo personale ritmo di crescita e che questo vale anche rispetto allo sviluppo del linguaggio, proviamo a dare una visione di insieme relativa alle tappe essenziali dello sviluppo del linguaggio, utile per comprendere gli ambiti di sviluppo e apprestare adeguate strategie a sostegno della stimolazione dello sviluppo fisiologico del bambino. Fatta salva una tollerabile variabilità, in assenza di una tappa o in caso di forte ritardo nell’acquisizione della stessa è bene prestare attenzione particolare al bambino, chiedere il conforto del pediatra ricordando che il medico di base è la figura più qualificata a indicare eventualmente la strada di una visita specialistica.

Quando iniziano a parlare i bambini? Progressione del linguaggio per fasce d’età

  • Dai 3 mesi il bambino è in grado di distinguere i suoni (ma non di comprenderne il significato) di diverse parole del linguaggio parlato.
  • Dai 4 mesi di età il bambino inizia la fase che si conosce come lallazione. La lallazione è una tappa di base che consiste nella produzione e abilità ripetitiva di sillabe, assolutamente senza significato. Si crea uno straordinario circolo tra bambino e adulto: per ogni bambino che ripete le prime sillabe (ma-pa-la-ga-ca) ci deve essere un adulto che rafforza i suoni ripetendoli, a sua volta, gratificando il piccolo e attribuendogli significati che poi saranno condivisi da entrambi e costituiranno le prime parole (fonemi) di senso compiuto e soprattutto adeguato al linguaggio parlato. Volendo dare dei consigli pratici per stimolare l’acquisizione delle tappe principali del linguaggio, la prima indicazione è proprio quella di sostenere il bambino sin dalla primissima lallazione. La mancata lallazione, è bene ricordarlo, è un dato da portare sempre all’attenzione del pediatra.
  • Dai 6 ai 9 mesi di età il bambino acquisisce la capacità di stare seduto autonomamente, inizia a raggiungere e afferrare goffamente un oggetto con cui giocare e inizia a sviluppare il legame tra suono e significato delle paroleLe ambizioni di sviluppo del bimbo sono spronate dal desiderio di conoscere il mondo verso cui il piccolo si muove sulla spinta dell’istinto.
  • Dal 9° mese di età in genere si realizza una tappa importante nel processo di acquisizione linguistica e della comunicazione: il raggiungimento della comunicazione intenzionale. Il bambino comunicherà intenzionalmente tramite gesti comunicativi e vocalizzi, in modo più stabile e regolare, con uno scopo ben preciso. Impara inoltre a leggere le parole, i gesti e le espressioni del volto di chi si occupa di lui. La sua memoria s’incrementa e il piccolo si confronta con la nuova abilità nel ricordare le esperienze passate. Incominci ad emergere anche la capacità di regolare ed esprimere le emozioni. In questa fase, concorreranno allo sviluppo del bambino anche acquisizioni di abilità di base come accomodarsi in piedi da solo. Progressivamente il bimbo inizia a rispondere a richieste semplici come fare ciao ciao con la mano o mandare un bacio.
  • Dal 1° anno di vita, grazie alle interazioni del bambino con il mondo che lo circonda, la gestualità assume un valore comunicativo ancora più forte: il bambino inizia a utilizzare i gesti per le richieste o per mostrare qualcosa agli adulti di riferimento; usa il dito per indicare o richiedere un oggetto e mobilitare o condividere l’attenzione con un adulto (cosiddetta attenzione condivisa); pronuncia 2-3 parole, ma comprende il senso di 70-200 parole!
  • A 15 mesi di età compaiono i gesti referenziali, il bambino non si limita ad indicare gli oggetti presenti nel suo mondo, ma lo rappresenta attraverso un simbolo (fare ciao con la manina, battere le mani, fare no con la testa). Tutto questo è ancora e sempre rinforzato dall’attività di imitazione dell’adulto che a sua volta mima al bambino, una rassicurazione sulla validità del suo linguaggio, dapprima muto, poi verbale e simbolico (“bau” per denominare il cane e “bam” per raccontare che è caduto un oggetto). Molti degli apprendimenti suddetti si incarnano in importanti azioni di gioco.
  • Dai 24 mesi (2° anno di vita) il bambino generalmente comprende circa 100 parole e inizia a formare le prime frasi con l’inserimento di due parole che sono in associazione logica tra loro, accompagnate da gesti indicativi e chiaramente simbolici.
  • Intorno ai 30-36 mesi di età in genere avviene la fioritura del vocabolario, con un aumento del numero delle parole in beve tempo e la produzione di frasi elementari di tre o più parole, e l’uso appropriato di queste frasi semplici: pappa-buona.

Variabilità e punto di vista soggettivo: non tutti i bambini sono uguali e non sempre c’è un ritardo nell’apprendimento

Esiste una grande variabilità fra i bambini che condiziona le capacità linguistiche e lo sviluppo del linguaggio. Non sono solo fattori genetici (ereditari) o ma anche ambientali: la presenza da parte dei genitori, il grado di interazioni sociali con i nonni, soprattutto se primo figlio, o con sorelle o fratelli, il precoce inserimento a scuola, la presenza di bilinguismo in famiglia. Queste condizioni vanno sempre considerate anche solo prima di ipotizzare un ritardo nell’apprendimento del linguaggio.

Di certo nessun bambino potrà mai trarre beneficio nello sviluppo del linguaggio se adopera telefonino o tablet, o se viene posto dinanzi alla TV.

Strategie adeguate per aiutare il bambino a iniziare a parlare

Giocare: il gioco è tra le attività consigliate, sempre e comunque, per stimolare il bambino. Il genitore (o chi si occupa del bimbo) deve sforzarsi di associare le parole (scandite con una corretta pronuncia) agli oggetti o alle azioni, come un gioco, per favorire l’assimilazione delle parole stesse e delle descrizioni verbali delle azioni e degli oggetti di uso quotidiano utilizzati.
Acquisizione di abilità attraverso il gioco: le abilità comunicative si assimilano per imitazione e la sede più rilassata per un buon apprendimento resta, per i bambini, quella del gioco. Pronunciate frasi semplici facendo anche attenzione alla voce, quindi scandendo le parole. Per esempio: “Adesso prendiamo i cubi, li mettiamo nel cesto“, “Laviamo le mani con il sapone, ecco l’acqua fresca, ora asciughiamo “, “Squilla il telefono, andiamo a rispondere“, “Prendiamo la penna rossa“, “Prendiamo il latte, mettiamolo nella tazza, ecco i biscotti buoni”.
• Durante i primi 24 mesi del bimbo, approfitta di tutti i possibili momenti quotidiani legati alle sue routine (come il bagnetto o la pappa) per ripetere tutte quelle paroline associate a queste pratiche in modo che tuo figlio le memorizzi. Evita di forzare il bambino a pronunciarle a sua volta: lo farà quando sarà “ispirato”, e supportalo sempre senza correggerlo. 
• Molto utili all’acquisizione di abilità cognitivo – comunicative sono anche i libri illustrati o di fiabe per bambini, ai quali fare riferimento come supporto visivo per interagire indicando i disegni. Questi libricini fanno anche da supporto emotivo se la lettura ad alta voce diviene una “recita” cioè è compiuta cambiando il tono della voce e le espressioni del volto con grande enfasi.
Ascoltare senza sovrastare: saper ascoltare è sempre fondamentale. L’ascolto è un’altra strategia valida per supportare l’apprendimento del bambino. Bisogna tenere vive tutte le forme di comunicazione col bambino. La difficoltà di espressione verbale non si accompagna necessariamente a difficoltà di comunicazione e socializzazione. Dobbiamo porci in relazione con il bambino senza sovrastarlo, senza anticiparlo, senza completare ogni sua frase o parola, senza sgridarlo, ma cercando di dargli sempre una nuova opportunità di conoscenza personale e linguistica. Dobbiamo aspettare che il bambino si esprima “a modo suo”, che ciascuna parola sia pronunciata come vuole per poi ripeterla ancora nel modo corretto, senza alzare la voce, guardandolo negli occhi, senza mai mortificarlo. Nella conquista di sempre più raffinate abilità di conversazione un buon esercizio è, per esempio, quello di stimolare il bambino a ripetere più e più volte la parolina difficile, quella che è solito sbagliare e che lo mette in difficoltà. Coordinare questa azione con oggetti noti al bambino può essere un vantaggio.

È vero che le bambine sono più precoci dei maschietti?

Questa diffusa credenza credo tragga origine dalla pubblicazione, negli ultimi 10 anni, di studi relativi all’apprendimento della lettura che, nello specifico, hanno sostenuto che le bambine imparano a leggere prima dei bambini, non solo pronunciando più precocemente le prime parole, ma anche acquisendo più velocemente un ampio vocabolario. Questi risultati non sono mai stati confermati, poiché è difficile, se non impossibile, separare il contributo genetico da quello ambientale che sono ugualmente coinvolti nello sviluppo del linguaggio. Le differenze che si possono rilevare tra maschi e femmine, spesso non riguardano solo il linguaggio. Per esempio i maschietti acquisiscono migliori abilità motorie prima delle bambine, anche queste differenze si equiparino nel corso dello sviluppo. Chiunque ha più di un figlio avrà notato una diversa tempistica e progressione nell’acquisizione delle varie tappe di sviluppo, del primo rispetto al secondo figlio e così via. Questo dimostra che non esiste una regola assoluta, anche tra figli degli stessi genitori!

Sviluppo delle abilità linguistiche e eventuali campanelli di allarme

Quanto tempo devo aspettare che si sviluppi il linguaggio e quali sono i segnali d’allarme dinnanzi ai quali devo sospettare un ritardo e sottoporre il bambino all’attenzione di uno specialista in logopedia o del pediatra o neuropsichiatra? Attenzione ai ricordi della nonna o della vicina di casa. Mi capita spesso di sentire una nonna raccontare di come il figlio dicesse “mamma” a 6 mesi e camminasse da solo a 7 mesi! Sono sempre intenerita da questi racconti, soprattutto perché, ad ogni incontro in ambulatorio, la nonna arretra sempre un pochino l’età della prima parola pronunciata, chissà se un giorno sentirò una nonna raccontare di una parola a 3 mesi.

Prima di tutto facciamo noi stessi da soli una revisione delle competenze del nostro bambino, sia linguistiche che relazionali, prima di allarmarci.

Consideriamo le seguenti domande relative al bambino:

  • È interessato a quello che gli accade intorno?
  • Esplora lo spazio intorno a sé, si gira se sente una voce o rumore improvviso?
  • Condivide dei giochi? Cerca gli altri bambini?
  • Ti sei mai chiesto se possa essere sordo? Risponde se lo chiami? Ti guarda negli occhi quando parli? Si gira verso la direzione di un suono o della voce?
  • Esegue richieste semplici? Per esempio: “Prendi la pallina, accendi la luce, chiudi la porta, etc”.
  • Indica con il dito le cose che vuole?
  • Se non riesce a farsi capire ti porta fin dove desidera?
  • Gioca a fare finta?
  • Imita i gesti della vita quotidiana senza difficoltà?

Se queste domande hanno risposta negativa, è opportuna una valutazione pediatrica che utilizzerà alcuni semplici test per consultare le competenze linguistiche del bambino, non solo quelle individuali ma anche quelle relazionali-sociali. Se sarà necessario verranno coinvolti degli specialisti. Come la logopedista, che si occupa dei disturbi semplici del linguaggio, ossia dei bimbi cosiddetti parlatori tardivi.

Informazioni utili sul bambino parlatore tardivo

Per identificare un bambino come  parlatore tardivo  è necessario che siano soddisfatti questi criteri:

  • la lallazione non compare entro il primo anno di vita,
  • il numero di parole usate dal piccolo a 24 mesi è inferiore a 50,
  • tra i 24 e i 36 mesi il bimbo non combina ancora le parole fra loro.

Altro specialista di riferimento è lo psicomotricista che va consultato se il disturbo del linguaggio si accompagna a un’alterazione motoria delle competenze fini  (che riguardano la coordinazione di mani e piedi). Questo medico può coordinare il suo intervento insieme a quello del logopedista. Infine, nel caso di disturbi del linguaggio più importanti potrebbe essere necessaria la consulenza anche del neuropsichiatra infantile.

Informazioni utili sul bilinguismo nell’infanzia: famiglia bilingue (o trilingue)

Diciamo subito che non cambia nulla nello sviluppo del linguaggio se il bambino è esposto a due lingue. Il timore che il bambino possa confondersi oppure fare più fatica a imparare due lingue contemporaneamente è infondato. Ormai è dimostrato che il bilinguismo non fa male e non confonde i bambini. Il cervello del bambino è, infatti, perfettamente capace di gestire due o più lingue contemporaneamente. Sin dalla nascita (anzi in verità sin dalla gravidanza) il bambino è esposto alle lingue e queste sono parte di un unico sistema comunicativo e relazionale. Il bimbo bilingue apprende le lingue come se fossero un unico linguaggio, proprio come il bambino monolingue, e può capitare che mescoli i termini delle lingue che conosce:

I don’t voglio andare home”,
“io vreau la palla”,
“io voglio luaj


Questa interferenza linguistica non è indicativa di confusione ma al contrario di controllo linguistico e cognitivo. La quantità di parole che utilizzerà da una lingua e – o dall’altra dipenderà fortemente dalla prevalenza di utilizzo quotidiano dell’una o dell’altra, ma la quantità di parole totali che apprenderà sarà la medesima dei bambini monolingue.

È sempre bene che i genitori parlino al bimbo nella loro lingua madre, cioè bisogna favorire la relazione comunicativa utilizzando il linguaggio di cui ciascun genitore si sente più padrone.

Il processo di apprendimento del linguaggio parlato deve essere il più scorrevole possibile, ed è impensabile che io, che sono italiana, parli a mio figlio in nigeriano, solo perché vivendo in Nigeria mi sto sforzando di impararlo!

Il bambino deve essere esposto ad una lingua parlata correttamente e fluentemente, con un vocabolario ricco.

Sapevate che i bambini bilingue sviluppano una maggiore consapevolezza delle differenze con “l’altro” e hanno maggiore elasticità e flessibilità mentale?

Questo si spiegherebbe con il fatto che devono costantemente scegliere il tipo di codice linguistico da adottare se parlano con i coetanei a scuola, o a casa con la mamma o il papà.

Alcuni strumenti per aiutare e motivare i bambini possono essere:

  • favorire la frequenza di parenti e amici stranieri
  • favorire la partecipazione a gruppi di coetanei della lingua da imparare per giocare;
  • favorire la visione di cartoni animati in lingua originale;
  • nella primissima infanzia cantare canzoni (tipo ninna nanna), leggere favole in una seconda lingua.
Faq

Domande frequenti:

Quali sono i primi segni del linguaggio di un bambino?

Tempi e modalità seguono percorsi variabili, anche se è possibile individuare una sequenza e una naturale cronologia di sviluppo. Esistono molte trattazioni specialistiche che affrontano lo sviluppo del linguaggio, ma, per esempio, non esiste uniformità sul momento preciso in cui inizia la lallazione, ossia la produzione pre-linguistica dei lattanti a partire dal settimo mese caratterizzata da coppie di vocali e consonanti ben definite e toni diversi.

Questa diffusa convinzione credo tragga origine dalla pubblicazione, negli ultimi 10 anni di studi che hanno mostrato che le bambine imparano a parlare prima dei bambini, non solo pronunciando più precocemente le prime parole, ma anche acquisendo più velocemente un ampio vocabolario.
Questi risultati non sono mai stati confermati, poiché è difficile, se non impossibile, separare il contributo genetico da quello ambientale che sono ugualmente coinvolti nello sviluppo del linguaggio.

Diciamo subito che non cambia nulla nello sviluppo del linguaggio se il bambino è esposto a 2 lingue. Il timore che il bambino possa “confondersi” oppure fare più fatica a imparare 2 lingue contemporaneamente è infondato.
Ormai è dimostrato, che il bilinguismo non fa male e non confonde i bambini. Il cervello del bambino è, infatti, perfettamente capace di gestire due o più lingue contemporaneamente.

L’acquisizione del linguaggio è soggettiva, non tutti i bambini parlano alla stessa età. Se un bimbo di 20 – 24 mesi usa i giochi in modo appropriato, imita i suoni, si sforza di farsi comprendere, è gaio e sereno, risponde se chiamato e soddisfa i piccoli comandi, allora non c’è da preoccuparsi.

Per stimolare il bambino a parlare:

  • favorite l’imitazione,
  • giocate con lui a parlare al telefono o a cantare al microfono,
  • scandite bene le parole e associatele agli oggetti,
  • giocate davanti allo specchio ripetendo parole e suoni.

Quando vi chiede qualcosa stimolatelo a spiegarsi al meglio possibile.

Con la supervisione di:

Pediatra margherita caroli ecog sio oms

Dott.ssa Margherita Caroli Pediatra

Prof. Andrea vania - alimentazione bambini

Prof. Andrea Vania Pediatra